"Una cultura non è superiore ai suoi boschi" W.H. Auden



Viaggio nel quinto elemento

da Azione n. 2/2009
Il viaggiatore e l’albero sono i simboli permanenti di due condizioni opposte: andare e stare; muoversi e mettere radici. Ma lo scrittore ecologista Roger Deakin ha saputo combinarli in un libro affascinante e insolito: un viaggio attraverso gli alberi e nel «quinto elemento », il legno.

Nel 1969 Roger Deakin lasciò Londra per acquistare un’antica fattoria in rovina nel Suffolk, Walnut Tree Farm. Negli anni seguenti la ristrutturò con le sue mani. Scoprì così che la casa era sorretta da circa trecento travi di quercia: un piccolo bosco era stato sacrificato per creare quella dimora. Nacque forse da quell’osservazione casuale la passione di Deakin per gli alberi e i boschi, che lo accompagnerà fino alla morte nel 2006, poco dopo aver concluso questo libro. Scriveva di sé: « Sono figlio della foresta; la linfa mi scorre nelle vene». . 

Nella vita di Deakin gli alberi e il legno hanno rappresentato anche lo spunto per viaggi davvero fuori dall’ordinario
Ogni sua pagina è una celebrazione della bellezza e della forza dell’albero. Ma è soprattutto attraverso il legno, questa materia prima impareggiabile, ubiqua, versatile, che la storia naturale si lega alla storia dell’uomo. Il legno è stato infatti un elemento insostituibile del progresso umano, e sino a pochi decenni fa era utilizzato nelle forme più varie, e a volte inaspettate, fosse l’elica in noce di un aereo da caccia della Prima guerra mondiale, che Deakin teneva sul suo tavolo di lavoro, o le Morris Minor familiari con il telaio in legno. Oggi ha perso molta importanza in favore dell’acciaio e della plastica, e il suo uso quotidiano si è ridotto, anche se a volte fa capolino come accessorio di lusso, per esempio nelle finiture in radica di noce del cruscotto di una Jaguar.

Nella vita di Deakin gli alberi e il legno hanno rappresentato anche lo spunto per viaggi davvero fuori dall’ordinario, che lo hanno condotto a volte appena dietro l’angolo, nella sua prediletta Contea, a volte in Paesi e continenti lontani. E quante scoperte! Chi crederebbe che tutti i meli domestici – e al mondo ce ne sono oltre 20.000 varietà – discendono probabilmente da alcuni boschi nelle isolate regioni montane del Kazakistan, dalle quali giunsero in Occidente attraverso la Via della seta? Nella desolata frontiera tra Polonia e Ucraina invece solo giardini e frutteti rinselvatichiti sono rimasti a testimoniare l’esistenza di interi paesi spazzati via dalle furiose pulizie etniche succedutesi durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Dall’altra parte del mondo, Deakin attraversa il deserto australiano, dove gli ultimi resti delle tribù aborigene difendono tra mille problemi, primo tra tutti l’alcolismo, il loro rapporto così stretto e particolare con la terra. L’albero simbolo è qui l’eucalipto, capace di resistere ai frequenti incendi, e di immagazzinare fino a una tonnellata di acqua al giorno nei rarissimi momenti in cui questa è disponibile.  

Anche quando manca una lingua comune, la passione per il legno e gli alberi affratella uomini intelligenti e laboriosi in ogni angolo del pianeta: boscaioli, contadini, cacciatori, artigiani, artisti. La maggior parte di loro, come Deakin, guarda con perplessità alle conseguenze della globalizzazione, che sembra preparare un mondo dove i luoghi – e con loro gli alberi, i frutti – potrebbero un giorno essere ovunque gli stessi.

Per scongiurare questo futuro Deakin ha creato l’associazione Common Ground, eppure egli non è ostile per pregiudizio alla tecnologia e al progresso. Piuttosto cerca di difendere una sapienza accumulata nei millenni. Si sforza di capire cosa acquistiamo e perdiamo nel quotidiano trasformarsi del mondo, e a volte stila quasi un elenco preciso: « Cose che sono aumentate. Donne sole che si affrettano per i campi. Gente che porta a spasso i cani. Cani, con o senza guinzaglio. Il lamento dei tagliaerba elettrici, anche di domenica. Vetture quattro per quattro. Lampioni di sicurezza dalla luce arancione che offusca le stelle.

Anche quando manca una lingua comune, la passione per il legno e gli alberi affratella uomini intelligenti e laboriosi in ogni angolo del pianeta
Cose che sono diminuite. Stelle. Passeggiate ricreative. Pavoncelle nei campi. Allodole. Beccaccini che frullano le ali a primavera. Crescione dei prati. Ragazzi e ragazze in bicicletta. Piccoli orti familiari. Capre. Anatre nei cortili. Vendite nelle fattorie. Siepi. Cabine di segnalazione ferroviarie. Lucciole lungo i binari » .

Competenze un tempo banali sono oggi possedute da pochi: quanti sanno ancora accendere e mantenere vivo un fuoco di legna o di carbone (che altro non è, se non legna fossile)? Quanti sanno distinguere un legno da un altro, e apprezzarne le diverse qualità, come nel caso dell’acero, che non lascia sapore, ed era percio usato per i secchi del latte? Libro strano questo, ma riuscito. Forse un po’ troppo lungo, ma curato nella scrittura. È al tempo stesso narrazione di viaggio, autobiografia, manifesto ecologista, compendio di storia naturale... Un libro universale nell’ispirazione, e al tempo stesso british come pochi, attraversato dal nostalgico amore per la natura caratteristico del primo Paese che sacrificò i boschi alle industrie.

Una volta chiuso il libro, si ha l’impressione di riemergere da un altro mondo, e ci si guarda attorno smarriti. Nella Babele contemporanea, così ricca di promesse e di minacce, ci si ritrova a desiderare gesti semplici e pieni di significato: piantare, potare, innestare, raccogliere... Non può essere un caso d’altronde se, in piena crisi economica e finanziaria, i banchi delle librerie traboccano di titoli che parlano di giardini e alberi. S’incontra subito un altro testo affine, «Ai piedi degli alberi. Viaggio tra i giganti della Terra » (di Rudi Palla, Ponte alle Grazie), ma anche «La quercia. Storia sociale di un albero » (di William B. Logan, Bollati Boringhieri), «Alberi» (di Tony Rodd e Jennifer Stackhouse, Touring Club editore), e soprattutto la riedizione del classico, commovente libretto di Jean Giono, «L’uomo che piantava gli alberi» (Salani): un messaggio di speranza interamente affidato al gesto semplice e ripetuto all’infinito di piantare un albero. D’altronde sappiamo da sempre che i nemici dei boschi sono anche i nemici della cultura e dell’umanità. E il poeta britannico Wystan Hugh Auden ci ricorda lapidario che « una cultura non è superiore ai suoi boschi».

Claudio Visentin
www.claudiovisentin.it


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